Per alcuni autorevoli osservatori questo è il tempo del populismo. Termine assai controverso con il quale si indicano tendenze spesso contrastanti. Preso però nel suo significato tecnico, il populismo implica tra le altre cose l’assunzione di un metodo di selezione della classe dirigente che presume la disponibilità dell’uomo della strada a trasformarsi in cittadino attivo, tanto da poter assegnare a sorte le cariche pubbliche e finanche i ruoli di governo. Talvolta questo metodo si interseca con quello più comune del clientelismo, che non smette di diffondere i suoi effetti perversi nelle istituzioni e nel sottogoverno. Il combinato disposto di questi due sistemi rischia di indurre, soprattutto nei più giovani, un sentimento di frustrazione e di rinuncia ad acquisire competenze e conoscenze. Prevale l’Italia dei furbi contro quella dei fessi, per dirla con Prezzolini. E i furbi, si sa, sanno trovare le scorciatoie per arrivare prima e meglio degli altri dove conta. Certo, questa tendenza stride sempre di più con la diffusione planetaria della società della conoscenza, o perlomeno dell’informazione, che dovrebbe avere delle élites sempre più consapevoli e istruite. Il cortocircuito tra un sistema globale dominato da tecnocrazie sempre più straripanti e un sistema nazionale retto con ostentata noncuranza dei criteri meritocratici, si fa sempre più evidente e presto potrebbe avvertirsi la necessità di un cambio di passo dei nostri metodi di selezione.
Un osservatorio di questa trasformazione è quello della difesa civica. Per almeno due ordini di fattori. Il primo è costituito sicuramente dalle recenti nomine, che fanno ben sperare sull’applicazione di nuovi standard di merito e competenza. Il secondo fattore è lo stesso civismo che è alla radice della difesa civica. O meglio, che ne è il presupposto logico. Questo civismo è ontologicamente diverso dal populismo. Nel paradigma populista, il popolo è ipostatizzato, la sua uniformità è presunta insieme alla sua purezza. E la sua volontà (presunta anche questa) deve essere semplicemente raccolta e realizzata dalle istituzioni. Il civismo invece non presume una volontà uniforme del popolo. Richiede una partecipazione vera dei singoli e dei gruppi sociali. Deriva semmai la sua efficacia da un patto sociale maturo, che di solito è assente nel populismo contemporaneo. Un patto sociale che si basa su pochi assunti facilmente riscontrabili. E uno di questi è senza dubbio che chi merita di più, deve avere ruoli di più alta responsabilità.