Il Difensore Civico Europeo, Emily O’Reilly, ha l’ambizione di “sostenere le istituzioni dell’UE affinché diventino più efficaci, trasparenti e responsabili” e per questo suo civile obiettivo sta lottando tenacemente non contro le istituzioni europee, ma “contro” gli uomini che le compongono. E il 26 aprile, parlando all’organizzazione della società civile, ha tratto delle prime conclusioni del suo operato.
Innanzitutto ha descritto una serie di caratteristiche distintive di questo particolare periodo storico delle istituzioni europee e nazionali: “Una è la natura sempre più incivile delle nostre conversazioni politiche. Non tutti possiamo essere d’accordo, ma il modo in cui articoliamo questo disaccordo segna la differenza tra società civili e incivili. La seconda caratteristica – è collegata alla prima – è la crescente polarizzazione del dibattito politico in molti paesi. Lo vediamo molto chiaramente nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove la polarizzazione politica provocata dalla Brexit e dall’elezione di Donald Trump ha diviso la società in tribù, dove ognuno rivendica la propria verità, lasciando spesso i cittadini alla deriva, in un paesaggio in cui gli elementi vitali della comunità condivisa, valori e persino fatti oggettivi, vengono lentamente erosi. Ma la società e le organizzazioni della società civile non sono gruppi politici formali e in una società in cui la politica è sempre più ridotta a un gioco a somma zero – la mia vittoria completa equivale alla vostra completa perdita – il ruolo della società civile non è mai stato più vitale, nel cercare di riempire lacune lasciate da questo paesaggio politico frammentato o, più importante, nel tentativo di risolvere il problema”.
Divisione in tribù, politica a somma zero e società civile tappabuchi: non è proprio un bel quadro quello che rappresenta la O’Reilly, ma in fondo sono lo specchio di un’Europa, costruita su basi economiche e finanziarie, che ha perso di vista il bene del cittadino, anzi sta facendo di tutto per relegarli nell’”angolino del consumatore ben informato”.
“Non siete legislatori come lo sono i politici” ha poi continuato, “ma siete influenti, con il potenziale di essere le entità che possono cambiare il dibattito politico, che fungono da punti di pressione sul sistema politico, quando il sistema stesso non sta trovando soluzioni alle sfide. Ed è proprio a causa di questo garbato potere di influenza, e del suo straordinario potenziale, che le organizzazioni della società civile stanno subendo pressioni anche in alcuni Stati membri dell’UE. E questo perché la società civile può agire come disgregatore di uno status quo politico che cerca di creare una singola narrativa condivisa su cosa o chi è buono o cattivo per un popolo. Pertanto, il vostro impegno con le istituzioni dell’UE è particolarmente vitale, date le varie sfide che l’unione si trova ad affrontare con la società civile. E a livello istituzionale europeo, ciò significa essere abilitati a partecipare effettivamente all’ampio processo decisionale dell’Unione, attraverso atti passivi di semplice scoperta di ciò che sta accadendo a un livello crescente di impegno attraverso consultazioni pubbliche, incontri diretti con i legislatori interessati e amministratori, in sostanza essendo abilitati a conoscere, a connettersi e a far sentire le proprie voci. E se da un lato ciò non è facile, data la natura complessa dei processi legislativi e la distanza fisica e persino emotiva delle istituzioni da parte dei cittadini, dall’altro la complessità e la distanza rendono ancora più vitale avere una forte ed impegnata presenza della società civile in Europa. Questo isolamento, mancanza di una presenza attiva della società civile, rende l’UE un bersaglio facile per la critica populista e euroscettica”.
Presenza passiva e populismo euroscettico, dunque, sono alcune delle preoccupazioni del Mediatore Europeo, unitamente alle manipolazioni tecnologiche, che tanto clamore stanno destando in seno alla Commissione. In linea con il pensiero dell’élite europea, ma con uno sguardo più aperto e teso a trovare una soluzione concreta ai malumori di tanti cittadini: “Pertanto, al fine di invertire la tendenza della percezione pubblica negativa, le istituzioni dell’UE devono prendere misure significative per migliorare la propria responsabilità e rafforzare la partecipazione pubblica al processo democratico dell’UE e questa è stata la motivazione per gran parte del mio lavoro nel settore della trasparenza e della responsabilità”.
Di certo una posizione istituzionale, quella di Emily O’Reilly, ma da cui si evince comunque la volontà per un bene superiore per il cittadino, anche se controbilanciato negativamente da una immaturità da parte delle stesse istituzioni, le quali sono influenzate dalla vecchia maniera di fare politica: segreti e doppi giochi. Ed è così che la sentiamo lamentarsi apertamente per una “frustrante pratica” degli stati membri: “Una frustrazione particolare, di cui tutti siamo consapevoli, è la pratica con cui i governi degli Stati membri criticano le decisioni prese a Bruxelles nei confronti del loro pubblico domestico. Eppure, molto spesso, durante il processo legislativo europeo, hanno sostenuto o plasmato la stessa decisione che successivamente hanno criticato”. La soluzione: “La registrazione sistematica dell’identità degli Stati membri che esprimono posizioni negli organi preparatori e la divulgazione proattiva di tali documenti contribuirebbero in qualche modo a risolvere questo problema”. Il che significa “migliorare la responsabilità del processo legislativo dell’UE”.
Alle organizzazioni della società civile, “attori passivi” o per lo meno attori consapevoli di non avere reali possibilità di influire sulle decisioni importanti dell’Unione, si contrappongono grandi potentati rappresentati dalle onnipresenti lobby finanziarie e produttive, gruppi di esperti spesso in evidente conflitto d’interesse. A questi purtroppo bisognerebbe aggiungere molte delle stesse organizzazioni della società civile, quali ONG finanziate con non del tutto chiari fondi finanziari, sindacati e gruppi di datori di lavoro che non sempre hanno ben presente l’obiettivo della difesa del più debole nella scala tutta in salita del potere decisionale.
Infine, sulla scorta di una positiva riuscita della consultazione pubblica su “Trasparenza e distanza delle istituzioni europee dai propri cittadini”, la O’Reilly auspica, nonostante gli innegabili miglioramenti degli organismi comunitari, di portare a termine il lavoro iniziato e il dialogo con la società civile, unitamente ad una razionalizzazione delle norme comuni per tutte le istituzioni dell’UE, sarebbe un importante passo in avanti.
“La vostra rete” conclude “vi consente di identificare problemi e ostacoli comuni alle organizzazioni della società civile che vogliono veramente impegnarsi in modo proattivo con le istituzioni su questioni politiche legate alle loro aree di competenza”.
La volontà non manca, le idee sono fiorenti ed i cittadini, soprattutto i più giovani, hanno grandi progetti e visioni profonde per l’Europa unita. Purtroppo sono le istituzioni che sono nate vecchie, imbastite su logori sistemi di poteri e potentati economico-finanziari. I cittadini, oggi, vogliono tornare ad essere protagonisti, si respira aria viva e vitale, ma queste spinte rinnovatrici sono per lo più soppresse proprio dai falsi “nominalismi istituzionali”. Ormai, non sono più i confini che dividono, sono invece le mentalità ristrette di chi si è arrogato il potere di governare, che chiudono e limitano i naturali movimenti socio-culturali della società civile.
E dunque, ben venga la lotta sulla trasparenza del mediatore europeo, ma con la consapevolezza che c’è ben altro da dover riformare.