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Senza un “nuovo cittadino”, nessuna difesa civica
Già nel 1985 la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali (la Commissione Bozzi) aveva suggerito l’opportunità di introdurre in Costituzione un ipotetico articolo 97bis che recitava: «La legge disciplina l’istituto del Difensore Civico al servizio dei cittadini; per denunciare disfunzioni ed abusi della PA e per promuovere la tutela degli interessi diffusi». Sempre nella IX legislatura, lo stesso Bozzi fu il primo firmatario di una proposta di legge sull’istituzione di un difensore civico che appunto potesse rispondere alla «crescente debolezza del cittadino di fronte ad un apparato burocratico che gli stessi organi politici e di controllo faticano ad indirizzare e a controllare».
Le proposte di introduzione di questo istituto non sono mancate anche nelle successive legislature. Cosa determina quindi il loro fallimento? In ultima analisi, la permanenza di un rigido monismo tipico di uno “Stato amministrativo” che detiene il monopolio dell’interesse pubblico, ma soprattutto la concezione passiva della libertà dei cittadini, intesa essenzialmente come difesa dell’interesse individuale nei confronti dell’autorità pubblica. Nell’assenza di questo passaggio verso una dimensione attiva della libertà, si rende impossibile o inutile un Defensor civitatis come quello auspicato da Bozzi.
Questo passaggio si sostanzia nel riconoscere ai cittadini un’autonomia civile più estesa di quella privata, nel renderli parte di un rapporto paritario con il sistema pubblico. Serve insomma quello che in un suo famoso libro del 1997, Benvenuti chiamava il “nuovo cittadino”. Se non si integra la democrazia rappresentativa con una nuova democrazia diretta, o con quella che qualcuno chiama “demarchia”, non ha senso parlare di difesa civica. In altri termini, si tratta di applicare in modo più rigoroso il principio della solidarietà, dell’amicizia civile, molto al di là del puro e semplice mandato rappresentativo. Ne deriverebbe una trasformazione organica della stessa forma di Stato. Forse i tempi sono maturi per provarci, o forse è soltanto il passaggio ciclico di un’utopia sociale e istituzionale.
Mario Ciampi